Francesca Curto: “Il Nero d’Avola ha tanto da dire. Diamo voce ai territori”

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di Francesca Landolina

C’è una famiglia del vino siciliano con una storia che si tramanda da quattordici generazioni e che trova nelle terre del Nero d’Avola, nel sud est della Sicilia, il suo luogo d’amore, fatto di tradizioni e radici, impegno e serietà, sacrifici e voglia di andare oltre i soliti cliché. Ne è interprete una donna del vino, Francesca Curto, entrata nell’azienda di famiglia giovanissima, grazie alla passione che le è stata tramandata dal padre e che l’ha spinta a formarsi nelle terre dei grandi rossi francesi, prima di tornare a casa, per far esprimere al meglio quel terroir unico che dalla costa dell’isola guarda l’Africa, e che alterna suoli calcarei, tufacei e di marnie a dune di sabbia finissima. Ci troviamo ad Ispica e l’azienda è quella della famiglia Curto, rappresentativa dei grandi rossi siciliani, il Nero d’Avola in primo luogo, un vino che in quella zona riesce ad esprimere il suo carattere solare ed elegante.

Com’è nata la tua passione per il vino?

Per me il vino è un elemento imprescindibile. Io rappresento la quattordicesima generazione di una famiglia che ha sempre coltivato la terra e raccolto i suoi frutti, dai carrubi agli ortaggi, dalla carota novella di Ispica all’uva. Le vigne non sono mai state abbandonate. Negli atti amministrativi dell’azienda, che sono una testimonianza storica, si leggono delle note contabili in cui si prevede di offrire ai braccianti anche salumi e un ‘caratello di vino’ al giorno. Ho sempre respirato l’aria del vino e poi mio papà mi ha trasmesso la passione. A casa ho degustato vini da ogni parte del mondo, ho fatto esperienze formative in Francia e ho girato tanto per capire meglio. A 28 anni ero già a lavorare in azienda con le mie responsabilità.

Parlaci della tua azienda e della produzione che la caratterizza.

Ci troviamo ad Ispica, nella Sicilia Sud Orientale, tra Noto e Pachino. Gli ettari vitati sono circa 20 ormai, su un totale di 200. La nostra ambizione è quella di fare vini eleganti e di territorio. Chiaramente, siamo in un’areale che è particolarmente vocato per i rossi e per il nostro Nero d’Avola. Un vitigno emblema della nostra terra, che qui esprime una forte acidità. La svolta aziendale è avvenuta nel ’98 quando abbiamo deciso di esportare i nostri vini e di farli conoscere al mondo.

Oggi c’è ancora tanta confusione sul Nero d’Avola?

Il Nero d’Avola è un vitigno importantissimo, che ha fatto la storia del rinascimento del vino siciliano; a partire dal Duca Enrico di Duca di Salaparuta in poi è stato rivalutato ma anche bistrattato, vinificato male. A ciò possiamo aggiungere l’incapacità di farne un brand, di lavorare facendo squadra. Così, c’è chi è riuscito a rivalutarlo ma spesso facendo un lavoro da solista. Per la valorizzazione del vitigno è mancata una politica di coesione.

Su quali progetti lavorate per la promozione del vitigno?

Con l’associazione La Strada del Vino del Val di Noto stiamo facendo rete e cerchiamo di valorizzarlo, portando avanti il nostro territorio. Molti eventi sono coordinati da donne produttrici che hanno deciso di agire, comprendendo che un territorio e i suoi vini vanno comunicati insieme.

Ma oggi si può parlare di una crisi del Nero d’Avola?

In generale oggi il modello di consumo tende a preferire i bianchi e gli spumanti e questa “crisi” o calo riguarda i rossi. Ma sono trend di mercato e i trend cambiano, non durano per sempre. I nostri rossi e i Nero d’Avola siciliani oggi sono fatti bene. Un vino poi può piacere o meno ma non si commettono più certi errori di vinificazione a cui potevamo assistere 30 anni fa.

E la politica dei prezzi?

L’errore iniziale è stato fatto, quello di svendersi. La qualità convive con tutto ciò ed è difficile da mantenere ma si sceglie, non esiste alternativa.

Come agire strategicamente?

Occorre diffondere la cultura del territorio, comunicare le difficoltà agricole e di chi si spende per fare vini di qualità.

Quali sono le caratteristiche dei vostri Nero d’Avola?

Qui produciamo un Nero d’Avola complesso che parte con acidità elevatissime, con suoli calcarei, argillosi, tufacei e di marnie. Non sono vini di beva immediata. Nascono in condizione di stress idrico della vigna. Si mettono in commercio più maturi, dopo quattro anni, ma mantengono una giovinezza e una freschezza straordinarie. Sono vini salmastri, mai polverosi o ridondanti, con una spiccata acidità che regala lunga vita. Freschi nella loro complessità. Oggi il mercato va verso i bianchi, ma questi rossi hanno le caratteristiche richieste al momento: una grande freschezza e una gradazione alcolica contenuta che li rende abbinabili a molti piatti. Basta farlo capire e saperlo comunicare.

Cosa pensi della Sicilia del vino?

Il vino si fa bene ma bisogna comunicarlo bene. Ci troviamo in una fase di stallo, ma vale ovunque, anche all’estero. E questo è il momento di restare compatti e di tenere duro. Si dovrebbe riuscire ad abbattere i costi negli acquisti. I consorzi devono aiutarci nella fase di produzione che ha costi molto elevati.

Come evitare la dispersione delle energie per la promozione del territorio?

Unendosi e agendo con eventi e iniziative. Si parla tanto di Etna, al di là della qualità e dell’importanza di un territorio, il loro modello è vincente e va preso come esempio.

E sul Nero d’Avola, qual è il futuro?

Spero sia in salita. Ormai è declinato in molti modi e dimostra la sua qualità. Spero anche che ci ripaghi dei sacrifici, ma sta a noi valorizzarlo bene, continuando a credere nel valore del territorio da portare avanti. Questa è la chiave, i nostri sono vini di territorio e, in quanto tali, vini di carattere che raccontano la Sicilia.

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